Il
discorso del potere differisce dal potere effettivo.
Questo
ce lo insegna la filosofia politica e, volendo esplicitare e
semplificare il significato della massima, potremo dire che il potere
non si racconta mai onestamente. Il problema è più complesso, ma
anche sotto questa sfumatura particolare è sufficiente a svelare il
paradosso della nomina di Isabella Rauti a consigliera del Viminale
per le politiche di contrasto alla violenza di genere e al
femminicidio. Ovviamente non è necessario possedere strumenti ad
alta precisione di critica politica per mettere in evidenza il
carattere volgarmente ideologico con cui, ormai, il potere si
auto-legittima in modo del tutto autoreferenziale. La classe politica
italiana, infatti, si riproduce per cooptazione parentale o, più in
generale, personale e servile come accade tipicamente in tutti gli
Stati in cui il processo di modernizzazione tecnico-politica risulta
tutto sommato incompiuto. Da questo punto di vista, la corruzione e
l'incompetenza strutturale non sono tanto eccezioni legate ai nomi e
ai volti di personaggi più o meno squallidi, ma la realizzazione
specificamente italiana della forma Stato. Dunque, che Isabella Rauti
sia la moglie di Alemanno, e che questo fatto non sia ininfluente
alla nomina appena ricevuta, s'iscrive perfettamente nelle dinamiche
attraverso cui si riproduce la classe politica italiana. Dinamiche
rispetto alle quali non possiamo far altro che lottare ogni giorno,
lasciando ad altri/e le indignazioni, gli appelli alla meritocrazia
come sistema sostitutivo di produzione delle elite,
il sessismo che spesso accompagna la denuncia dello scambio
sesso-economico e così via.
Qualcosa,
tuttavia, vorremo aggiungerlo.
Anzitutto
una nota sul milieu fascista (in senso filologico e non vagamente
retorico) da cui proviene la Rauti. La destra di cui la
neo-consigliera fa parte, infatti, è una destra tradizionale di
esplicita ispirazione fascista e nemica delle donne, tanto per
vocazione ideologica quanto per eredità storica. Tra le più brutali
forme di violenza connaturate al fascismo, infatti, si può
annoverare il tentativo di ridurre le donne a un unico corpo-macchina
riproduttore della forza lavoro. Su questo punto, in particolare, la
figura di Isabella Rauti esprime una continuità inquietante. La
Rauti, infatti, è stata una delle prime firmatarie della legge
Tarzia, la legge laziale che permette e favorisce l'ingresso nei
consultori dei Movimenti cattolici antiabortisti e integralisti e che
– dunque – sottopone le donne che intraprendono un'interruzione
di gravidanza a una grave violazione della loro libertà di scelta e,
molto spesso, a vere e proprie aggressioni fisiche e verbali. Ogni
arretramento in materia di diritto all'aborto, inoltre, implica un
aumento vertiginoso delle vittime di aborto clandestino e dunque una
crescita della quantità di violenza di genere che – secondo il
paradigma menzognero del discorso politico – la neoconsigliera
dovrebbe contrastare.