La prima volta che mi
sono draggata, “travestita da uomo”, è stata un'esperienza molto
forte, avevo letto del workshop drag king da qualche parte e mi ci
ero iscritta, timidamente, aspettando l'ultimo secondo utile. Delle
parole dette non ricordo molto - costruzione e decostruzione,
performatività, parodia, svelamento – quello che, a distanza
di tempo ed esperienze, continuo a ricordare meglio sono i riflessi
di volti concentrati, intenti a cambiare fisionomia.
I peli, appicicati con
cura sul viso, non diventano come d'incanto barbe vere, eppure sono
tutt'altro che “posticce”, come le maschere di una scena
teatrale, sanno trasfigurare la realtà mostrandone verità profonde.
Per molt* draggarsi, almeno per la prima volta, è un'esperienza di
forte ampliamento della percezione del sé, delle proprie possibilità
di essere e, di riflesso, di comprensione corporea della rigida
prescrittività nella quale ci troviamo a vivere quotidianamente.
Come Laboratorio
organizzare un workshop drag king ha voluto dire provare ad attraversare collettivamente questo tipo di
esperienza ampliandone la possibilità di analisi. Ci ha permesso di
ricogliere e ricollocare quelle parole chiave di decostruzione capaci
di mostrare e descrivere alcuni di quegli aspetti più normativi e
falsamente neutri della società. “Giocare con i generi”
significa saper rendere evidente la falsità della naturalità di
maschile e femminile. Permette di evidenziare il persistere di un
rapporto di potere asimmetrico tra uomini e donne e, non ultimo,
mette in luce come l'eterosessualità si rappresenti oggi come un
orientamento neutro rispetto ad altre scelte sessuali possibili,
oscurandone la propria normatività. (Per un approfondimento sul
fenomeno drag king in Italia rimandiamo a Il re nudo
a cura di M. Baldo, R. Borghi, O. Fiorilli)
Draggarsi è una pratica
politica che, attraverso l'uso parodico degli stereotipi di genere,
mette in luce come tanto più ci si allontana da ciò che è
comunemente considerato “normale” tanto più “l'invisibilità”
delle norme divengono evidenti nella loro violenza. Persone
omosessuali, transessuali, travestite non godono sempre di
particolare accettazione ne tantomeno di riconoscimento. La
costruzione culturale del genere non è solo un residuo normativo,
quasi totalmente scardinato, di una società ormai fluida e sempre
più “libera” ma continua a essere una gabbia, più o meno
visibile, che opprime ogni devianza.
La retorica di maggior
fluidità sociale, di attraversamento dei generi e delle identità,
al di là di un ragionamento di contestualizzazione che porterebbe a
metterne in dubbio la veridicità, è estremamente ambigua e ci porta
a riflettere su un ulteriore aspetto: la capacità della società in
cui viviamo di trasformare in prodotto qualsiasi forma espressiva
esistente.
La pratica drag in quanto
performativa diviene anche arte, anzi spesso nasce come forma
artistica capace di costruire nuove immagini e immaginari. E
anche per questo può facilmente divenire oggetto di estetizzazioni e
annacquamenti tali da divenire preda di un cannibalismo che
trasforma in cibo per il capitale energie, desideri e creatività.
Per dirla con le parole di Morini (in un articolo che tratta d'altraquestione ma che diviene tuttavia pertinente): “la società
neoliberale è violenta perché consuma libertà sotto la parvente
accettazione di tutte le devianze e di tutte le identità che
tuttavia controlla attraverso meccanismi sempre più elastici e
pervasivi."
Difendersi, contrastare
tale violenza significa non perdere di vista i valori scardinanti di
queste pratiche, ciò significa saperle inserire in percorsi politici
di conflitto più ampi. Relegarle invece in piccole forme di
professionismo politico può essere poco utile se non
controproducente, così come una loro pura riduzione a forma
artistica le può svuotare di forza e di senso. Certo le soluzioni
sono tutt'altro che univoche, da un punto di vista artistico, ad
esempio, non è sempre facile individuare il posizionamento da
tenere, alcune ricerche possono portare a un allontanamento da forme
di militanza collettive, in questi casi come difendersi dalla
pervasività di una forma sociale predatoria?
Come Laboratorio pensiamo
che il confronto e la condivisione dal basso siano un fondamentale
punto di partenza. Da qui, pur dovendosi inevitabilmente confrontare
con le proprie e altrui contaddizioni, si può ottenere una maggior
lucidità e capacità di scelta sulle posizioni che ogni giorno ci
troviamo a dover assumere.
femminilità, mascolinità e ogni identità di genere più o meno diffusa non sono solo "culturali" nè solo "naturali", noi tutti siamo un mix di natura, cultura e storia ma questo non ci rende incapaci di decidere per noi stessi/e.
RispondiEliminaComunque ci sono tanti modi di vivere il femminile e il maschile, più o meno diffusi statisticamente ma tutti legittimi e autentici e da rispettare sia che ci appartengano o no.Per fare un eempio: una donna che si mette il rossetto è libera e autentica quanto una che non lo fa.
stesso discorso per gli orientamenti sessuali nessuno dei quali è una scelta, l'eterosessualità è un orientamento sessuale nè più nè meno degno degli altri, legittimo e autentico per chi lo prova quanto gli altri a prescindere da quanto sia statisticamente diffuso. E in generale caricare di significati politici la propria identità di genere e orientamento sessuale, qualunque sia, mi lascia perplesso.
Se concordi con noi che ci sia un parte "culturale" nelle identità, anche quella di genere (per noi più che marginale), allora è una questione politica. Quale sarebbe la perplessità?
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