Il laboratorio Sguardi sui Generis nasce all'Università di Torino nel 2010 con l'intento di costituire uno spazio di discussione e crescita sulle questioni di genere. Un contenitore aperto, dunque, che si pone il duplice obiettivo di approfondire la formazione teorica e di favorire, al contempo, l'affermazione di una soggettività collettiva capace di confrontarsi e intervenire sulle problematiche di genere più attuali.

lunedì 18 febbraio 2013

Danzare contro la violenza


Appunti di riflessione a cura del Laboratorio Sguardi Sui Generis

One billion rising: un flash mob globale per denunciare la violenza sulle donne. Le ragioni, le parole d'ordine, le immagini e i luoghi della giornata si trovano facilmente in rete. Con queste brevi riflessioni non vogliamo approssimare un bilancio complessivo e globale della giornata e dell'iniziativa. Al contrario, vogliamo provare a guardarla con il più provinciale e provincializzato degli sguardi. Difficile stabilire onestamente cosa One billion rising possa aver significato per molte donne in tante parti del mondo. Più semplice – e forse utile – qualche considerazione critica a partire da noi. La scelta di smorzare l'enfasi globale di One billion rising per provare a descriverla in prospettiva parziale e situata è motivata da alcuni elementi che riteniamo di prima importanza.
Nel discorso pubblico la violenza sulle donne è descritta in prospettiva globale soltanto quando la si prende in considerazione a partire da coloro che la subiscono, mai per tratteggiare il profilo di coloro che la compiono: le vittime di violenza sono le donne come corpus omogeneo, mentre i perpetratori della violenza non sono mai raccontati come agglomerato indifferenziato. L'asimmetria nasconde un duplice equivoco di natura politica che è utile esplicitare. In primo luogo, la rappresentazione essenzializzata della vittima (le donne tout court) è funzionale a una descrizione della violenza completamente sganciata dalle forme relazionali che l'accompagnano e dalle condizioni materiali che la favoriscono. Ciò fa si che la generica condanna della violenza non si trasforma mai in una critica reale della violenza che presupporrebbe l'analisi dei canali, delle condizioni e dei luoghi attraverso cui la violenza si produce e si trasmette ai danni di madri, mogli, fidanzate, nipoti, studentesse, e così via. Un elenco orientato non a costituire una tassonomia vittimaria, ma piuttosto a decostruire il significante donna come generico indifferenziato e, soprattutto, dematerializzato.