Il laboratorio Sguardi sui Generis nasce all'Università di Torino nel 2010 con l'intento di costituire uno spazio di discussione e crescita sulle questioni di genere. Un contenitore aperto, dunque, che si pone il duplice obiettivo di approfondire la formazione teorica e di favorire, al contempo, l'affermazione di una soggettività collettiva capace di confrontarsi e intervenire sulle problematiche di genere più attuali.

lunedì 27 maggio 2013

Dominique Venner, il popolo di Le Pen e gli spettri della Republique


Domenica 26 maggio. Questa mattina si è tenuto a Parigi un raduno nazionale di quello spaccato della società francese che da un po' di mesi si oppone all'estensione del diritto di matrimonio e adozione alle coppie gay. Un raduno partecipato, anche se il Milione di presenze rivendicate dagli organizzatori risulta decisamente una forzatura. Tuttavia, in questa sede, non importa misurare la temperatura politica complessiva della Francia (e come sarebbe possibile?), ma fare alcune considerazioni sull'emergenza di un'omofobia di massa su cui è necessario fermarsi a riflettere. Non si può liquidare la questione con indulgenza pensando a qualche coppia di anziani cattolici da compatire. Proveremo a condurre un piccolo ragionamento a partire da un fatto particolare (il diavolo si nasconde nei dettagli).

Appena qualche giorno fa, la cattedrale di Notre-Dame è stata sottratta alla routine del turismo. La cronaca ormai è nota, se non già vecchia: martedì 21 maggio, nel secondo pomeriggio, un uomo anziano si uccide ai piedi di uno degli degli altari di Notre-Dame sparandosi una pallottola in bocca (della reazione del gruppo Femen si dirà più avanti). Il fatto – di per sé non straordinario – acquisisce un interesse specifico non appena si introducono nella narrazione alcune qualificazioni che corrispondono a tre domande banali. Chi era l'uomo? Perché si è ucciso “pubblicamente”? Perché Notre-dame?
L'uomo si chiamava Dominique Venner e aveva 78 anni. Esponente dell'estrema destra francese, soldato in Algeria da ragazzo e poi membro dell'Organisation armée secrète (OAS), l'organizzazione clandestina e criminale che tra il '61 e il '62 si oppose all'indipendenza algerina con atti terroristici e rappresaglie che costarono la vita a oltre 2.000 persone tra uomini e donne in maggioranza algerini/e. Anche dopo lo scioglimento della OAS, l'esistenza di Venner rimane invischiata nell'ideologia nazionalista e colonialista, nel razzismo e l'islamofobia che orientano tutte le scelte politiche e plasmano la sua identità. Un fascista, un uomo la cui morte rappresenta quasi un sollievo. Un vecchio, che dopo una vita spesa a dispensare odio e risentimento, trova un ultimo terreno di battaglia impegnandosi contro la legge francese – approvata in aprile – che estende il diritto di matrimonio e adozione alle coppie omosessuali. Chi era Domique Venner, dunque? Un vecchietto razzista, sessista e omofobo. Non c'è “lato umano”, dettaglio biografico o revisionismo soft post-mortem, che possa opacizzare il giudizio storico e politico su una vita spesa a produrre e diffondere odio.

 La morte di quest'uomo – lo si è detto sopra – costituisce addirittura un sollievo. Un sollievo semplice, su cui non c'è molto da ricamare: un uomo crudele se n'è andato. Tuttavia, non se n'è andato nell'oscurità di un'abitazione privata, ma della sua morte ha voluto dar spettacolo. Venner ha voluto morire in pubblico, convinto di dover consegnare ai posteri un messaggio speciale. Il messaggio, in verità, è vecchio come il mondo e non è altro che il mantra di tutta la sua vita. Odia, questo è il messaggio. Ma – vale la pena sottolinearlo di nuovo – l'ingiunzione all'odio non è stata scritta su un fogliettino da tramandare a discendenti diretti o amici, ma declamata con una performance al limite del grottesco. Molti quotidiani, infatti, hanno riportato l'intenzione espressa da Venner sul suo blog di compiere “gesti nuovi, spettacolari e simbolici” per risvegliare le coscienze addormentate. L'annuncio di un atto individuale e mitomane per risvegliare le coscienze, il desiderio di compiere qualcosa di grande tradotto nel tentativo di darsi una morte fuori dall'ordinario. Uno spettacolo in cui, tuttavia, lo scenario conta ben più della scena: senza Notre-Dame non ci sarebbe stato nulla, anche se l'effetto – molto probabilmente – non coincide con quello sperato. Si può congetturare, infatti, che nel programmare il suicidio come “azione per rendere autentiche le parole” (parafrasando la dichiarazione comparsa sul blog), Venner confidasse in una sorta di effetto metonimico capace di instaurare una relazione tra la solennità della cattedrale e il gesto suicida e, al limite, di iscrivere la propria morte entro una logica del martirio e del sacrificio. Ma la solennità di Notre-Dame è da tempo divenuta spettacolo, consumo, turismo.
In un saggio famoso degli anni '50, lo storico e critico Erwin Panofky sostiene che la cattedrale gotica inaugura e incorpora una “logica del visuale” che apre all'età moderna (un venire alla luce di tutti i segreti del mondo ben esemplificato dalla ricchezza di dettagli della facciata: natura, spiriti, corpi, tutto viene alla luce e si riempie di luce). Questa, dunque, sarebbe la sua grandezza, la sua funzione storica e la sua unicità. Circa trent'anni più tardi, il filosofo francese Henri Lefebvre, torna sulla questione e traccia una linea di continuità tra la “logica del visuale”, la “società dello spettacolo” e il consolidarsi di forme di potere propriamente contemporanee. Entrare nel merito di questa questione – che pure è affascinante – conta poco in questa sede. Tuttavia, anche ridotta all'osso, la divagazione è utile a sottolineare l'equivoco che rende patetico il gesto di Venner: chiunque si fosse sparato in pieno giorno a Notre-Dame sarebbe finito sulle prime pagine dei giornali. È la cattedrale a rendere interessante il gesto perché lo spettacolarizza, il resto non conta nulla e i ritmi frenetici della metropoli se lo sono già lasciato alle spalle. Solo la presenza della polizia – che teme che la cattedrale diventi meta di tutti i megalomani parigini – porta un traccia dell'accaduto. In questo senso la ripetizione della scena il giorno successivo da parte di un'attivista del gruppo Femen ha il pregio di mettere in evidenza la farsa: lei e Venner concorrono a costruire la stessa scena, lei con l'intenzione di violare un ordine del discorso tradizionale e patriarcale, lui con l'intento di ripristinarlo. Ciò che insieme riescono a violare non è altro che un luogo turistico. Peccato che le azioni delle Femen non siano improntate all'ironia e che siano sempre appesantite dal ricorso didascalico alla nudità, altrimenti la scena avrebbe forse guadagnato un qualche interesse almeno simbolico o discorsivo.
Se la scena è patetica, l'immaginario di Venner, tuttavia, è chiaramente radicato nella cultura di destra e fascista europea. E questo rende la scena più oscura in quanto la inserisce in quadro politico delicato. Nella crisi in cui è sprofondata l'Europa, infatti, le ambiguità sociali sono profonde e delicate. Eppure – monade in una costellazione complicata – la morte di Venner offre il pretesto per fissare una differenza fondamentale: quella tra odio e lotta. L'odio si può pensare come un'esplosione distruttiva e auto-distruttiva di frustrazione privata; la lotta, invece, come un processo di condivisione collettiva – tanto di difficoltà, quanto di aspettative – da cui scaturiscono le forze e le strategie per costruire una vita migliore per sé e per gli/le altri/e. Arginare l'odio e praticare la lotta può forse costituire un criterio minimo per far fronte alle sfide che il futuro avrà in serbo.  

Ma, perché Venner si è ucciso pubblicamente? Non si è ancora risposto a questa domanda se non in modo piuttosto generale. La parabola razzista e omofoba di Venner – lo si è accennato sopra – lo conduce ormai quasi ottantenne a partecipare attivamente all'opposizione contro la legge Taubira che sancisce il diritto al matrimonio e alle adozioni gay. In questo contesto, il gesto di Venner si può leggere come l'espressione esasperata di una parte della società francese che, sin dall'inizio, si oppone all'estensione dei diritti civili all'interno della Republique. Come noto, infatti, l'iter della legge Taubira è stato piuttosto travagliato a causa dello sfavore di un pezzo di Francia conservatrice e cattolica che costituisce l'elettorato di Jean-Marie Le Pen. Qual'è la relazione tra la figura di Venner e quella parte di società francese che si esprime contro la legge sui matrimoni gay? Giudicare degli aggregati sociali non è facile e improvvisare un'analisi con pochi elementi non sarebbe onesto. Tuttavia si può sostenere che il profilo di Venner costituisce una sorta di genotipo di cui l'omofobia cattolica e borghese venuta alla luce in Francia sarebbe un fenotipo. Ovvero: l'omofobia di Venner non è un attributo contingente della sua biografia (non è un campo di espressione della sua particolare veduta), ma – al contrario – l'aggregato sociale omofobo che si è manifestato nelle piazze francesi degli ultimi mesi è un'espressione contingente di un paradigma culturale nazionalista, razzista e omofobo. La questione omofobia è specifica, ma non è slegata e disgiunta da altre linee discorsive che si intrecciano nella storia della Republique.
In quest'ottica Venner può essere considerato il prototipo di un'ossessione generica (che, ovviamente, si esprime a densità variabili) per la “corruzione” della società francese a causa di degenerazioni riconducibili alla linea del colore e della sessualità: non-bianchi e non-uomini minacciano la purezza di una nazione “bianca” e “uomo” che si fonda, in ultima analisi, sulla famiglia tradizionale e sulla performatività violenta dei ruoli sessuati, sessuali e sociali ad essa connessi. Se si ammette questa lettura e, al contempo, la si estende per analogia su scala europea,  risulta prioritario cercare di tenere insieme tutti i fili del problema e costruire delle pratiche e dei discorsi in grado di misurarsi con problemi sempre impuri, meticci, imperfetti. Non si sradica l'omofobia senza sradicare il razzismo e il sessismo. Non ci si libera dei peggiori retaggi del passato senza una critica forte e costante dei nazionalismi. Sembra sempre più urgente imparare a essere anti-razzisti difendendo i diritti omosessuali, a essere gay lottando con i disoccupati, a essere disoccupati facendo campagne femministe, e così via. All'orizzonte, infatti, sembrano profilarsi definizioni complesse e complessive delle nostre vite.

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