Il laboratorio Sguardi sui Generis nasce all'Università di Torino nel 2010 con l'intento di costituire uno spazio di discussione e crescita sulle questioni di genere. Un contenitore aperto, dunque, che si pone il duplice obiettivo di approfondire la formazione teorica e di favorire, al contempo, l'affermazione di una soggettività collettiva capace di confrontarsi e intervenire sulle problematiche di genere più attuali.

sabato 16 aprile 2011

SGUARDI SULLA PRECARIETA'

La precarietà è un elemento esistenziale e politico imprescindibile del nostro presente. L'agiamo e la subiamo ogni giorno in forme differenti e mutevoli. Come Laboratorio sguardi sui generis abbiamo deciso di raccontare la nostra precarietà nel modo più semplice e schietto che ci venisse in mente. Illustrare, così, una delle tante costellazioni possibili di una realtà caleidoscopica e complessa. 
Qui di seguito, le nostre riflessioni.


Ho ventinove anni. Mi sono laureata in filosofia, scrivo e leggo con passione. Al momento sono dottoranda senza borsa all'Università di Torino. Sino al 21 marzo ho avuto un lavoro (contratto semestrale) e quindi un reddito. Ora conto di arrangiarmi sino all'estate con una borsa regionale per dottorandi. Nel frattempo cercherò di vincere un posto altrove: a breve, ad esempio, farò un lungo viaggio fino a Napoli per il concorso di dottorato bandito dall'Istituto di Scienze Umane. Non credo di poter fare previsioni, so soltanto che se dovesse andar bene potrei contare su una borsa di tre anni. Cosa che – in tutta onestà – mi renderebbe piuttosto felice al punto che organizzerei una bella festa.
Non mi importa andare troppo indietro nel tempo e raccontare tutto. Comunque lavori ne ho fatti di ogni sorta: gelateria, pulizie, segreteria, commessa in un negozio di dischi, assistenza disabili, barista e cameriera, centrale radio e ufficio stampa. Alcuni li rifarei, altri no. Certi sono stati piuttosto remunerativi, altri al limite della decenza. Sotto una soglia minima non accetto. Il che significa, ad esempio, che cestino sistematicamente tutti gli avvisi inoltrati dal Job Placement dell'Università di Torino. L'annuncio tipico che, con cadenza quasi giornaliera, raggiunge i pc di migliaia di studenti e ex-studenti presenta, infatti, due voci irrinunciabili: «requisiti richiesti» e «facilitazioni previste». Alla prima segue una lista generalmente di media lunghezza: laurea, varie lingue straniere, competenze informatiche, attitudini caratteriali, disponibilità di ogni sorta, etc... Alla seconda, invece, l'annuncio risponde sempre con un non curante: nessuna. «Nessuna facilitazione prevista», che tradotto nel linguaggio reale significa: lavorare gratis. No grazie, cestino.
Il reddito come «facilitazione» comunque è una bella trovata. Viene presentato come un di più, qualcosa di non necessario che se c'è ti facilita la vita e se non c'è te la puoi cavare comunque. Questa cosa – lo giuro – mi fa andare fuori di testa: odio le menzogne e le mistificazioni. Un'altra cosa che mal sopporto è la retorica della creatività che spesso viene propinata come formula per risolvere tutti i problemi. Oggi bisogna sapersi inventare un lavoro! Se sei creativa e ti saprai adattare vedrai che trovi la tua strada! Non credo di essere l'unica a cui siano toccati in sorta consigli di questo genere – spesso in buona fede e dunque più tollerabili. Ebbene io la mia strada la conosco, mica ho fatto mille lavori perché ero indecisa su quale scegliere. Semplicemente mi hanno reso possibile rimanere sulla via, quella che sento mia e che non sono disposta a mollare perché popolata di passioni, di amori e di persone con cui condivido uno sguardo sul mondo. Con ciò non intendo sposare un'etica del sacrificio (mi faccio in quattro così almeno, però, posso far ciò che mi piace), intendo piuttosto dire che, per quanto mi riguarda, la questione del reddito e quella del desiderio sono inseparabili. Detto terra terra: non mi trasferirei in un paesino alpino della Svizzera perché lì forse troverei un lavoro meglio remunerato. Senza reddito non si vive, ma nemmeno di solo reddito. Naturalmente l'ordine logico e materiale del binomio reddito-desiderio non è casuale e nemmeno invertibile. Politicamente parlando, la questione del reddito è primaria.
Non ho esaurito – come ovvio – né il problema della precarietà né la mia storia. Ho raccontato un pezzetto dell'uno e dell'altra. L'aspetto su cui mi piacerebbe tornare a riflettere è il rapporto tra la precarietà e l'esperienza del tempo perché mi sembra sempre che me ne manchi un poco. Ora, infatti, spengo il pc e corro!

Simona – Laboratorio Sguardi sui generis (Torino)
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Ho diciotto anni e sono una studentessa all'ultimo anno di Liceo Scientifico.
Nonostante il mancato approccio con il mondo lavorativo vero e proprio, la parola ''precarietà'' torna spesso a galla anche negli ambienti scolastici che frequento.
''Cosa farai dopo?''
Forse questa è una delle domande che mi vengono poste più frequentemente e, puntualmente, mi trovo in difficoltà nel trovare una risposta.
Diplomarsi ad un Liceo significa sempre dover continuare gli studi poiché sei qualificato contemporaneamente in tutto e in niente.
Sarà banale da dire, ma il futuro di noi studenti ci si presenta su un piatto d'argento,questo è vero. Futuro che però è pronto ad ossidarsi con un velo di instabilità fin dal primo momento.
L'anno prossimo mi piacerebbe sicuramente apprendere e approfondire discipline che mi piacciono,che mi danno soddisfazione, ma mi rendo conto che spesso potrei essere costretta a dover condividere questi interessi con un lavoro del tutto estraneo, un lavoro precario caratterizzato da un elevato tasso di ricattabilità.
Mi permetto di far mie queste riflessioni che non sono altro che l'osservazione di vite quotidiane di persone con cui condivido parte della mia vita, persone laureate che lavorano in un settore troppo lontano da quello che potrebbe essere di loro interesse. E questo per cercare di pagare affitti o tasse troppo alti.
''Cosa farai dopo?''
Anche dopo queste righe non trovo una risposta. Ne avrei una adatta, per la domanda opposta però.
''Cosa non farai dopo?''
Mi piacerebbe non ''fare la studentessa/lavoratrice'' precaria, questo si.
Ma è davvero possibile sperarci?

Camilla - Laboratorio Sguardi Sui Generis
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Quindici righe di precarietà?

1 Sto a vender, gelati, scarpe, piadine, ore davanti al computer, cure al disabile, risate ai bambini, 
2 giochi da clown. Domani vediamo.

3 Non ci penso, non ci penso, non ci penso. Lo sguardo non si ferma. Dal piatto al bicchiere, e più 
4 in là non ho voglia di guardare, sai? Rido. Il piatto è vuoto, ora dove posso andare...
5 Lasciami pensare.

6 Rido. Cerco, sguardo sollevato. Orizzonte all’orizzonte. Non rido. Cerco. Dal piatto al bicchiere
7 mi viene voglia di tornare. Vuoti. Orizzonte... Nebbia.
8 Via di mezzo. Frustrante. Rido.

9 E vi racconto un pensiero che ho di frequente? “non ti puoi ammalare, non ti potrai ammalare, 
10 nessuno si potrà ammalare” ... E chi ci’ammazza?! Rido.

11 Noi siamo quattro fratelli, sai? Belli dico, sai? Rido. Mangiato e stra mangiato, bevuto e stra 
12 bevuto, risate, stra risate. Che fortuna. Rido. Io a un figlio tutto questo non lo potrò mai dare. 
13 Non rido.

14 Mi hanno detto: “devi sempre essere pronta a riposizionarti, devi essere flessibile, ingegnosa, 
15 creativa, piena di inventiva”. Figo! Rido.
16 Devi. Lo sono.

17 Rabbia. Sai!?
18 Mi derubano di me. Non rido.

19 Occhi sgranati davanti al computer, li vendo. Mani veloci a riempire piadine, le vendo. Lingua 
20 che storie racconta ai bambini, la vendo. Faccia plastica ... sa vendere tutto! la vendo. Vediamo...
21 Mi Restano una schiena, due gambe, due piedi... il petto? lo vuoi? quanto? ... venduto.

22 Il resto, vediamo domani. Sai?
23 Rido.

Ne son venute 23 di righe. Va bene uguale, le vendiamo. Sai? Ridi.

Marta, Sguardi Sui Generis. Torino.
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Racconto la mia storia, dentro e fuori i Tempi che ci stanno attorno.
Che la precarietà sia permeante in ogni aspetto di questi Tempi, è fuori di dubbio; come lo è altrettanto che nulla di ciò che ci è stato raccontato prepara ad affrontarla.
Hanno raccontato di sogni di serenità e vacanze e passeggiate festive, lavoro finalmente in settimana, casa mutuo famiglia eccetera eccetera. Ci hanno fatto credere che fosse l'aspirazione, tranquillo traguardo di un percorso di studi e di impegno.
E poi via il pavimento da sotto i piedi: vivete insoddisfatti, dei vostri lavori a scadenza e degli studi che non c'entrano nulla, della casa che condividete in cinque, dei consumi centellinati, di voi stessi, della vita che conducete, magari anche delle vostre relazioni.
Ci rinfacciano quando, più o meno consciamente, posticipiamo il momento del fallimento rimanendo a tempo indeterminato sospesi sul cordone familiare di salvataggio.
Questi sono i Tempi.
La mia precarietà è una conquista, in questi Tempi. Di lavori ne tengo in piedi almeno due, uno per l'affitto e l'altro perchè l'ho scelto. Finisco l'università con un sacco di impegno e moltissima passione. Ho scelto l'impegno politico, come imprescindibile espressione di me. Poi suono, scrivo e dipingo e leggo. E soprattutto ho amicizie e relazioni.
Mantenere tutto in piedi, altro che una conquista.
Questi Tempi di insoddisfazione vorrebbero dipingere la mia storia come la vita di una persona per nulla arrivata, o per lo meno, non ancora.
Io, assieme alla mia precarietà, arriviamo molto oltre. Oltre le tranquillità ed i traguardi.
Tutt'altro che un elogio all'insicurezza perenne, voglio raccontare della nostra forza di precari capaci di vivire non insoddisfatti ma solidi delle nostre innumerevoli risorse.
Consapevoli e coscienti che il fallimento non è in alcun modo in noi, ma nel paradigma che ci hanno proposto. Arrabiati sì, nient'affatto inaciditi e cinici. Determinati a riprenderci tutto e costruire i nostri Tempi, quelli che vogliamo vivere.
                                                                                     
                                                                                       Ilaria, 25 anni, Laboratorio Sguardi sui Generis
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Ho 20 anni, studio al primo anno di Scienze Politiche e all’oggi per me la precarietà è una promessa che mi viene fatta per un futuro più o meno prossimo.
La promessa di fronte a tasse universitarie sempre più alte che diventeranno proibitive.
La promessa di una facoltà che, seppur con slogan accattivanti, ti obbliga a passare per tirocini e ore di lavoro non pagate, perché se no i conti dei crediti sul libretto universitario non tornano e alla laurea non ci arrivi.
La promessa di fronte al tentativo, prima o poi, di andare ad abitare per conto mio.
La promessa, o meglio la risposta, che troverò nel portare in giro un curriculum il più vario possibile, perché oggi bisogna sapersi “reinventare”.
Ma chi mi fa questa promessa ha anche la bontà di propormi un’alternativa, almeno per un po’:
Bello quel film, però magari me lo scarico...
Mi piacerebbe venire al concerto, però 15 euro di biglietto...
Dopo lezione mi fermo a studiare però il pranzo me lo porto da casa...

Beh, a me le promesse che suonano come una minaccia non piacciono.
E allora a chi sta immaginando questo tipo di futuro per me, una promessa, una vera, voglio farla anche io: quella di assicurare che non ho perso e non perderò la voglia di lottare per cambiare lo stato di cose presenti e per costruirmi prospettive diverse.

E so che siamo in tanti a dire che faremo di tutto per mantenerla.

                                                                                          Francesca – Laboratorio Sguardi Sui Generis
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PRECARIETA’, libere associazioni mentali:
vendi fastweb, non dire dei 50 euro in più, se la vecchia piange attacca, se non fai almeno un contratto all’ora ti faccio fare meno ore, ti tolgo i turni, prendi meno soldi, problemi tuoi
non ho tempo per me, per te, per loro, per voi. non ho tempo e dò tutto il mio tempo. non ho tempo e mi piace regalare il mio tempo.
io ingrasso tu dimagrisci scambiamoci i pantaloni
voglio la stanza, nemmeno la casa, non posso permettermela, la occupo (la stanza)
non lascio nemmeno lo spazzolino da te, tutto in una borsa, vado e torno, vado e torno … da 3 anni
50 euro a natale dai nonni
mi ammalo, non me lo posso permettere
coppetta cioccolato e panna all’ Ld, 19 cent l’una, prendiamone 5, chissà che cazzo ci mettono dentro
divertimento, frustrazione, intelligenza, cultura, caos, il martedì il museo è gratis, il lunedì il cinema costa meno, al concerto scavalco, gelmini tremonti cota vi odio, il materasso era in strada, il preservativo è della lila.

Desideri, desideri, mille desideri, voglie, io voglio tutto, io mi prenderò tutto.

                                                                         Valentine, 27 anni, laureata in lingue orientali, gelataia.
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Scrive il dizionario... Precario aggettivo maschile: soggetto a venir meno, incerto, aleatorio, che rischia di volgere al peggio. Sinonimo maschile: colui che ha un rapporto di lavoro provvisorio e non garantito.


Il termine in tutte le sue sfaccettature quotidianamente sulla bocca di tutti, condizione caratteristica del nostro tempo, non per questo da accettare supinamente!

Ho 25 anni, sulla mia carta di identità c'è scritto, professione: studentessa, anche se esclusivamente studentessa non lo sono mai stata.
Ho svolto molti lavori, il mio curriculum nonostante la mia età è lungo il triplo di quello di mia mamma che lavora da trent'anni in una piccola fabbrica, che negli ultimi dieci minaccia quasi quotidianamente di trasferire l'intera produzione all'estero.
Non sono contraria a priori alla flessibilite, anzi, sono contenta di aver avuto l'opportunità di fare esperienze lavorative diverse; quello che però non sopporto sono le condizioni di estrema ricattabilitche ci vengono imposte e soprattutto vorrei avere la possibilità di scegliere quando e se cambiare lavoro, invece di essere lasciata a casa perchè dopo due rinnovi contrattuali il datore di lavoro costretto ad assumere a tempo indeterminato e preferisce, invece, assumere una nuova tornata di precari e precarie.

Lavoro da quando ho diciannove anni, compatibilmente con i miei ritmi di studio. Forse sono una delle poche ragazze della mia età non aver mai lavorato in un call center, ho fatto solo un colloquio di gruppo per uno dei più conosciuti di Torino, in cui hanno chiesto a noi candidati di giocaread un gioco di ruolo che si chiama la zattera, che consiste nell'immaginare una situazione catastrofica che costringe i partecipanti a fingere di dover prendere e partire, così su due piedi, potendo portare con sè solo cinque oggetti scelti tra una lista formata da una ventina, messa a disposizione dal selezionatore. Lo scopo valutare la capacità di persuasione del candidato e altre dinamiche di gruppo, dal momento che la lista dei cinque oggetti dev'essere concordata, unica per tutti.

No grazie, non mi interessa.

Mi anche capitato di incappare in uno di quegli annunci affissi in bacheca all'università in cui si ricercavano giovani studenti per svolgere la mansione di dialogatore nel caso specifico per il WWF
Al colloquio si parte con l'importanza del saper lavorare in team, attitudine al dialogo con le persone che bisognava convincere a lasciare il proprio numero di conto corrente da cui sarebbe stata scalata ogni mese una cifra, come donazione. E' difficile convincerle a lasciarti il numero di conto corrente, devi imparare a capire le persone dal primo sguardo e scegliere la tattica giusta.
Un rimborso spese ridicolo come fisso, il resto provvigioni.

No grazie, non mi interessa.

Non sono mai stata disposta ad accettare qualunque cosa, non credo che il lavoro sia un bene comune, credo sia la dignità ad esserlo. Il lavoro mi serve per avere un reddito, imprescindibile. Non un rimborso spese, nè provvigioni. Non mi sento compatibile con queste politiche per aumentare la produttività che ti lasciano nell'incertezza di non sapere quanto guadagnerai il mese successivo.

Poi arrivato il contratto a tempo indeterminato: faccio l'educatrice, ciò per cui ho studiato. Ho scritto una bella tesi sperimentale incentrata sulla mia professione, che è stata molto apprezzata. Sono soddisfazioni, certo.
Lavoro di notte e questo mi lascia anche il tempo per poter fare quello che mi piace, in primis politica. Dovrei essere molto felice e in effetti lo sono stata fino a qualche mese fa. Poi la crisi in cooperativa. Si sa un brutto momento, crisi del welfare, tagli al sociale, pagamenti in ritardo da parte della committenza...Non li leggete i giornali?

Si ricomincia quindi con quell'incertezza, aleatoria, soggetta a venir meno tipica della condizione di precarietà..Potrei iniziare ad inviare curriculum ovunque -questa volta scrivendo alla voce istruzione laurea triennale- entrando in quella fase molto stressante che credo abbiate provato tutti quando si deve trovare un lavoro e lo si deve trovare in fretta. Oppure posso restare dove sono e cercare, insieme ai miei colleghi, delle risposte collettive a questa crisi; risposte che ci permettano non solo di tornare alla normalità ma anche di migliorare alcuni aspetti. Per ora scelgo la seconda, senza farne una missione, se non funzionerà ripartirò dal via!

                                                                                             Daniela -Laboratorio Sguardi sui generis-



 

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