Il laboratorio Sguardi sui Generis nasce all'Università di Torino nel 2010 con l'intento di costituire uno spazio di discussione e crescita sulle questioni di genere. Un contenitore aperto, dunque, che si pone il duplice obiettivo di approfondire la formazione teorica e di favorire, al contempo, l'affermazione di una soggettività collettiva capace di confrontarsi e intervenire sulle problematiche di genere più attuali.

domenica 21 novembre 2010

DI COSA PARLA IL PROTOCOLLO FERRERO?


Ecco qui un breve riassunto con qualche commento della delibera che potrà cambiare volto e significato ai consultori per come li abbiamo finora conosciuti.
Il 15 ottobre scorso il Consiglio Regionale del Piemonte ha approvato come delibera il “Protocollo per il miglioramento del percorso assistenziale per la donna che richiede l’interruzione volontaria di gravidanza” proposto dall’assessore Caterina Ferrero.
Il 9 novembre la maggioranza ha inoltre respinto la richiesta dell’opposizione di sospendere tale delibera. 



Pertanto da martedì 16 novembre quanto vi è contenuto può diventare realtà.
Questa delibera è l’attuazione pratica di una parte del “Patto per la vita e la famiglia” firmato in febbraio da Cota durante la campagna elettorale con la parte più integralista del Movimento per la Vita.
Già allora Cota scriveva:
Con tutti sottoscrivo un patto per la vita e per la famiglia: non generico – perché è facile parlare di vita e di famiglia come concetti astratti, senza precisare in concreto che si tratta della vita dal concepimento alla morte naturale e della famiglia monogamica ed eterosessuale, fondata sul matrimonio di un uomo e di una donna – ma specifico e articolato in impegni precisi.
1.    Considerando che un aborto non è mai una vittoria per nessuno ma è sempre una sconfitta, m’impegno per quanto riguarda le competenze regionali di applicazione della legge 194 a proporre e sostenere percorsi di aiuto concreto e fattivo alle donne che, anziché banalizzare l’aborto come soluzione, cerchino sempre possibili alternative, aprendo le istituzioni regionali anche alla collaborazione con il volontariato pro-vita. []
Insomma, c’era quasi da aspettarselo che prima o poi sarebbe arrivata una delibera ad hoc che sancisse di fatto l’entrata nei consultori pubblici del movimento per la vita.
Proviamo ora a delineare brevemente i punti essenziali di quanto vi è contenuto prendendo alcune frasi fortemente esplicative. Tra le varie cose  il protocollo Ferrero prevede:
-       L’attivazione di convenzioni tra le ASL, gli enti locali (Comuni/Enti gestori delle funzioni socio assistenziali, centri per la famiglia) e le realtà del Volontariato/Privato sociale con l’obiettivo condiviso, previsto dalla legge 194/78, di potenziare le azioni atte ad assistere le donne in gravidanza per rimuovere le cause che portano al ricorso all’aborto volontario […]
-       L’accoglienza della donna in gravidanza può essere indifferentemente effettuata dai servizi consultoriali, dai centri per la famiglia e dalle altre strutture del Volontariato/privato sociale, […]
-       Intervento di counselling di sostegno alla maternità a cura degli operatori del consultorio e/o dell’operatore del volontariato e del privato sociale convenzionati e coinvolti nel percorso. […]
-       REQUISITI DELLE ORGANIZZAZIONI Di VOLONTARIATO E DELLE ASSOCIAZIONI DI PRIVATO SOCIALE PER CONVENZIONAMENTO CON le ASL […]
          Al fine di promuovere la natalità e di rimuovere le cause che possono indurre  la donna a richiedere l’interruzione della gravidanza, le ASL devono avviare opportune collaborazioni per realizzare le dovute sinergie tra tutti gli enti coinvolti ( Enti gestori delle funzioni socio assistenziali, Centri per le Famiglie) ed in particolare con le organizzazioni di volontariato e associazioni del privato sociale, operanti nel settore della tutela materno infantile ed iscritte negli elenchi delle ASL.
-       Tra i vari requisiti che devono possedere le associazioni ciò è emblematico:  […] presenza nello statuto della finalità di tutela della vita fin dal concepimento e di attività specifiche che riguardino il sostegno alla maternità e alla tutela del neonato; […]

Insomma pochi punti per delineare un quadro inaccettabile.
I consultori saranno obbligati a stringere collaborazioni con il Movimento per la Vita e le donne potranno trovarsi fin dal primo colloquio a dover aver a che fare con i suoi volontari.
Su come e da chi verranno formati questi volontari per ora regna il mistero, si sa solo che Cota ha annunciato che sarà la Regione a pagare per la loro formazione.
L’intento con cui si è deciso di far entrare il Mpv nella sanità pubblica è chiarissimo ed esplicito: ostacolare le donne che vogliono abortire. La delibera ci presenta una donna che non è in grado di decidere cosa è meglio per se stessa e pertanto va “presa in carico” dai suddetti volontari. La vita da salvaguardare è solo quella del feto, preservare la vita della donna è un dato che non viene contemplato.
Stiamo quindi parlando di un testo che è un vero e proprio attacco all’autodeterminazione delle donne, le quali si troveranno a dover subire pressioni psicologiche mirate a colpevolizzarle (il termine “assassina” è uno dei preferiti dai adepti del Mpv) e ad imporgli una scelta diversa da quella che hanno coscientemente e legittimamente preso.

La posta in gioco è altissima. Se per Cota questa delibera rappresenta semplicemente l’attuazione di patti presi in campagna elettorale, per le donne si tratta di trovarsi di fronte ad una totale messa in discussione di una serie di diritti che si erano dati come conquistati.

Se dal punto legislativo è possibile che nella delibera si riescano a trovare vizi di illegittimità, è sul piano culturale che ci si deve porre delle domande per capire come sia possibile che ciclicamente il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza venga messo in discussione, addirittura facendo una legge ad hoc. Ed è per questo che la battaglia che si deve dare non può consistere solo in ricorsi al tar o denuncie, quello che deve interessare maggiormente è vincere sul piano dell’avanzamento culturale, creando le condizioni affinché il diritto di ogni donna di decidere della propria vita non possa più essere messo in discussione.
Non una mera difesa dell’esistente quindi, ma la presa di coscienza di avere tutta la legittimità di dover pretendere di più, di voler costruire una battaglia mirata a diffondere la cultura dell’autodeterminazione femminile (e non solo) affinché questa non possa più essere strumentalizzata da politici di palazzo in cerca di alleanze e sostenitori tra i fondamentalisti cattolici. 

I consultori sono nati come luogo per le donne, per fornire assistenza, informazione e aiuto in tema di prevenzione, sessualità libera e consapevole, per offrire un supporto alle vittime di violenza e per tutelare il loro diritto alla libera scelta in tema di maternità.
Questo e molto altro possono e devono essere i consultori.
La battaglia per la loro difesa – e soprattutto per il loro miglioramento- è una battaglia che riguarda la società intera, che non può accettare che le venga imposto un arretramento culturale di tale portata che va ad umiliare il diritto all’autodeterminazione dei soggetti.

Noi siamo pront* e decis* a scendere in campo… e voi?


Laboratorio Sguardi sui Generis

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