Il laboratorio Sguardi sui Generis nasce all'Università di Torino nel 2010 con l'intento di costituire uno spazio di discussione e crescita sulle questioni di genere. Un contenitore aperto, dunque, che si pone il duplice obiettivo di approfondire la formazione teorica e di favorire, al contempo, l'affermazione di una soggettività collettiva capace di confrontarsi e intervenire sulle problematiche di genere più attuali.

martedì 7 giugno 2011

FALSI AMICI E CATTIVA COSCIENZA. A proposito dei tentativi di impiegare le questioni di genere in chiave eurocentrica e razzista.

Proponiamo di seguito un approfondimento sulla pratica diffusa del «Pinkwashing» e sulle forme odierne di «omonazionalismo».





La formula pinkwashing allude alla “pennellata di rosa” che le democrazie occidentali si danno per rendere presentabili interventi militari nelle più disparate regioni del mondo (in particolare nel mondo arabo) e, al contempo, per giustificare le politiche razziste adottate all'interno dei propri confini. La logica del pinkwashing è piuttosto elementare e i suoi effetti retorici alquanto immediati: i diritti delle donne e delle soggettività GLBTQ vengono presentati come misura di civiltà e impugnati come armi contro quella parte del mondo che non li riconoscerebbe. Il genere –riproducendo un vizio teorico già smascherato dagli studi post-coloniali e da ampia parte del femminismo – viene giocato contro la razza, la classe e altre istanze di soggettivazione politica. All'intersezionalità delle lotte praticata dai soggetti reali, si oppone così l'unidirezionalità fittizia della presunta superiorità civile, culturale e politica dell'occidente.
In Italia la retorica del pinkwashing viene impugnata principalmente in chiave razzista e securitaria attraverso la costruzione di una cattiva retorica incentrata sulla questione complessa della violenza maschile sulle donne. L'agghiacciante binomio del  “migrante stupratore” e la figura speculare della “donna vittima da difendere” costituiscono i pilastri di un immaginario razzista che invoca con foga i vari pacchetti sicurezza. Di recente, tuttavia, si è compiuto anche in Italia un passaggio ulteriore: i diritti GLBTQ vengono richiamati esplicitamente per giustificare guerre imperialiste e neo-coloniali. Il portavoce illustre di questa sinistra strategia retorica è riconoscibile in Roberto Saviano che, in un' intervista di qualche mese fa, ha definito Israele una «culla di civiltà e democrazia» proprio alludendo alle libertà sessuali garantite ai suoi cittadini. Circondato dall'illiberale mondo arabo, Israele sarebbe dunque un faro democratico nel cuore dell'oriente. Ecco dunque la “pennellata di rosa” – una verniciata d'occasione – che copre gli orrori e i cadaveri israeliani.
Questo tipo di retorica mostra una peculiarità che vale la pena sottolineare: si assiste a una sorta di ribaltamento del cattivo universalismo che storicamente ha giustificato le brame predatorie dell'occidente. Se, a partire dall'illuminismo sino ad oggi, l'occidente si è autopromosso guida della civiltà nel nome di un uomo astratto e universale (nei fatti bianco, maschio, eterosessuale e cristiano), oggi è capace di strategie più sofisticate. Strategie capaci di assumere prospettive particolaristiche al fine di piegarle – ancora una volta – all'affermazione della propria superiorità. In questo quadro, sta alle soggettività di volta in volta chiamate in causa riconoscere il falso alleato, denunciarne i fini e respingere ogni connivenza.

Proponiamo un'intervista a Elena, attivista di Facciamo Breccia, con cui, dai microfoni di Interferenze (la trasmissione del nostro Laboratorio, in onda tutte le domeniche dalle 16 alle 17 su Radio Blackout 105.250 FM) approfondiamo alcuni nodi emersi durante il convegno Dentro e fuori le democrazie sessuali, tenutosi a Roma il 28 e 29 Maggio.

Proponiamo inoltre il video sopra citato dell'intervento di Roberto Saviano (in particolare dal minuto 1.06) e la risposta di Vittorio Arrigoni
A quest'ultimo, ancora una volta, va il nostro pensiero. 


Rimandiamo infine ad un articolo del 16 Febbraio che ha in parte ispirato queste riflessioni: ATTIVISTI QUEER PALESTINESI DISCUTONO SU “PINKWASHING” E ALTRO
Di seguito la traduzione:

Gli attivisti queer palestinesi sono di tappa nella Bay Area per parlare delle lotte quee nel contesto dell'occupazione israeliana delle terre palestinesi. (Questa notte è la vostra ultima occasione per “beccare” i tre rappresentanti delle organizzazioni  Aswat e Al Qaws che racconteranno le loro storie,alle 7-09:00 presso la Pro Arts Gallery, 150 Frank Ogawa Plaza, Oakl. Facebook ).

Ieri sera hanno parlato alla Mission High School in un evento organizzato da Arab Resource and Organizing Center e co-sponsorizzata da una coalizione di diversi gruppi. La maggior parte ha chiesto di essere identificat* solo con il primo nome, temendo discriminazioni per l'orientamento sessuale e rappresaglie per aver parlato. Ecco alcuni punti salienti.

"Il movimento queer palestinese è riuscito a combinare gli elementi queer, femminismo e la resistenza all'occupazione il tutto in una lotta integrata", ha detto Haneen, che è attivista di Al-Qaws che promuove lo sviluppo e la crescita della comunità palestinese LGBTQ."Quando si parla dei diritti gay in Palestina non si può trascurare il fatto che i palestinesi vivono sotto occupazione. E’ importante non trascurarlo ".
Uno dei motivi per cui il tour è stato organizzato è quello di evidenziare ciò che gli attivisti chiamano "pinkwashing" dell'occupazione israeliana. "E 'un termine che significa l'abuso della lotta gay  israeliana  da parte del governo israeliano", ha detto l'attivista di 23 anni, Sami."Avvolgere una una sciarpa rosa attorno agli occhi, non dobbiamo criticare Israele perché è gay friendly. Fa parte di tutta una campagna di “sponsorizzazione” di Israele come popolo gay friendly e democratico e non fare vedere le violazioni dei diritti umani ".

Per Moraga, attivista e scrittrice queer Chicana (significa cittadina americana la cua famiglia è originaria del Messico), l'evento è stato un raro scambio tra due generazioni di queer di colore. "Io, come  chicana, non mi sento estraneo alla questione palestinese, ha detto. "Non c'è contraddizione per la lotta per la nazione e per lottare per la libertà dei nostri desideri e della sessualità."

I tre attivisti più giovani hanno mostrato apprezzamento per tutto ciò che hanno appreso dai veterani dei movimenti negli Stati Uniti. "Abbiamo imparato molto dal movimento queer di colore negli Stati Uniti, quando siamo stati ad esplorare le intersezioni della lotta, [i vostri scritti] sono stati incredibili, [essi] ci hanno aiutato", ha detto Sami. Vorrei ringraziarvi per questo. "

Nonostante il loro riferimento ad altri movimenti, hanno detto che tutto, dalla loro retorica alla loro strategia politica, si basa sulla comunicazione con i palestinesi queer. "Il processo di scelta della strategia è importante", ha detto Abeer, che lavora per l'inclusione delle donne queer nella società civile. Siamo andati sul campo e ci siamo incontrati con palestinesi queer. Abbiamo sviluppato tutte queste strategie di notizie sui nostri piedi. Questo è lo spirito di Al- Qaws , portare queste esperienze avvenute sul campo. "

Il nascente movimento che essi rappresentano ha già prodotto alcuni risultati concreti. Prima che cominciassero, i termini arabi per “gay” erano negativi, ma ora anche i media mainstream hanno adottato la terminologia promossa e positiva del movimento.

Se non potete partecipare all'evento, la festa si svolgerà alle ore 9:30 presso la Sala Paradiso, 2272 Telegraph Avenue, Oakl.

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