La dispersione dei compagni NoTav arrestati a seguito delle loro proteste per le disumane condizioni detentive delle Vallette è solo l’ultimo pezzo di un puzzle politico che restituisce il disegno di un accanimento inquietante. La conferma delle misure cautelari da parte del tribunale del riesame, i trasferimenti d’urgenza, le dichiarazioni del sindacato di polizia penitenziaria sull’attività di “propaganda e proselitismo” dei NoTav fra i carcerati lasciano profilare una linea d’azione che è contemporaneamente punitiva e contenitiva. Punitiva nella misura in cui è all’esemplarità della vicenda che è affidato il compito di valere da monito per un intero movimento sociale, contenitiva perché le strategie messe in campo cercano di depotenziare la conflittualità del movimento e dei singoli NoTav isolandoli, frammentandoli, tentando di alienarli da altri soggetti sociali.
È quanto avvenuto alle Vallette dove, a fronte del rifiuto da parte di due NoTav a rientrare in cella in segno di protesta contro la sospensione delle ore d’aria regolamentari e le restrizioni su quelle di socialità, i secondini hanno minacciato di punire tutti i detenuti, nell’infame tentativo di far giocare le rivendicazioni dei compagni contro l’interesse degli altri carcerati. Un tentativo che si è rivelato fallimentare: i detenuti hanno sostenuto i compagni nel continuare la loro protesta fino a quando la polizia penitenziaria non è intervenuta per ripristinare con la forza la propria autorità. Neppure il paternalismo del direttore del carcere Buffa è valso a riassorbire le richieste dei NoTav che hanno ribadito la loro indisponibilità a barattarle con concessioni personali. A loro, alla loro capacità di ricomporre istanze sociali e costruire rivendicazioni comuni anche in una condizione come quella carceraria, talmente connotata dalla disparità di ruoli, poteri, libertà e agibilità degli spazi da essere rappresentazione emblematica delle contraddizioni sociali, va tutta la nostra solidarietà, il nostro orgoglio, il nostro affetto.
Se la detenzione mira a sfiancare, frustrare, inibire le aspirazioni di giustizia sociale di chi custodisce in sé il desiderio di lottare per una possibilità altra, la protesta dei compagni NoTav dimostra come le sbarre di un carcere non possano fermare il movimento, come esso sia vivente e incarnato nelle singole esistenze, ovunque esse siano, sempre capaci di farlo giocare come elemento ricompositivo da una valle all’altra, da una cella all’altra, nelle condizioni della maggiore subalternità e frammentazione. Il tempestivo intervento della procura che ha disposto il trasferimento e la dispersione dei compagni rappresenta la reazione intimorita di una controparte che si vede restituire le proprie armi spuntate. Non è bastato l’arresto a pacificare le istanze del movimento, non basterà la dispersione dei NoTav a renderli inoffensivi, silenziosi, collaborativi.
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